Iside

Iside appartiene alla categoria delle grandi Dee Madri, in quanto Dea di fertilità che insegnò alle donne d’Egitto l’agricoltura.
Tuttavia le sue imprese e i suoi attributi fanno di Lei l’archetipo per eccellenza dell’anima compagna. La sua devozione ad Osiride fu tale che Lei potè salvarlo dalla morte per ben due volte, ricomponendone i pezzi e restituendogli la vita. 
Iside rappresenta la ricerca suprema dell’anima gemella, l’uso consapevole del potere femminile dell’amore e del misticismo. 


Il mito
Iside, originaria del Delta, è la grande Dea della maternità e della fertilità nella mitologia egizia. 
Forte dei suoi molteplici talenti e della sua magnificenza, Iside è altresì rivelatrice della forza di una donna che ama e del potere della sofferenza che tutto trasforma.
Iside dalle braccia alate, prima figlia di Nut, il cielo che tutto abbraccia, e del dio della piccola terra Geb, nacque nelle paludi del Nilo il primo giorno di uno dei primi anni della creazione. 
Fin dal principio Iside rivolse un occhio benevolo sul popolo della terra, insegnando alle donne a macinare il grano, a filare il lino, a tessere e ad addomesticare gli uomini a sufficienza per riuscire a vivere con loro. La stessa Dea viveva col proprio fratello Osiride, dio delle acque del Nilo e della vegetazione che spunta dall’inondazione delle sue rive. 
Una volta raggiunta l’età adulta, Iside andò in sposa al fratello Osiride. L’armonia che li circondava era tale che tutti ne rimanevano piacevolmente coinvolti. Le loro giornate scorrevano all’insegna del nutrimento del mondo; i poteri di Iside associati a quelli di Osiride facevano sì che il cibo scaturisse a profusione dal ricco suolo egiziano e dal fertile Nilo.
 Le loro notti erano scandite dall’estasi dell’amore; non vi era luna o stella che potesse offuscare la loro passione.



Tutti amavano Iside e Osiride – tutti tranne Set, il loro gelosissimo fratello. 
Per porre fine al loro dominio idilliaco, Set assassinò Osiride e ne depose il cadavere in una bara, intorno alla quale, col tempo, crebbe un grande albero.
 La Dea, travolta dal dolore si tagliò i capelli e si strappò le vesti soffrendo per la perdita subita. Setacciò ogni angolo alla ricerca del suo innamorato e dopo molto vagare giunse in Fenicia, dove la regina Astarte fu presa da pietà per lei senza tuttavia riconoscerla e la prese come nutrice del principe ancora bambino. 
Iside curò tanto bene il piccolo da metterlo come fosse stato un ciocco nel focolare del palazzo, dove la madre, terrorizzata, lo trovò fumante. Essa afferrò il piccolo e lo estrasse dalle fiamme, annullando in tal modo la magia che Iside stava effettuando su di lui per dargli l’immortalità. Iside fu chiamata a spiegare il suo comportamento e così venne rivelata l’identità della Dea e raccontata la sua ricerca. Allora Astarte ebbe a sua volta una rivelazione: che il fragrante albero di tamarindo nel giardino conteneva il corpo del perduto Osiride. 
Iside riportò finalmente il cadavere in Egitto per sepellirlo ma il malvagio Set non si diede per vinto: animato dalla più feroce crudeltà, tagliò Osiride in quattordici pezzi che sparpagliò attraverso l’Egitto. 
Senza perdersi d’animo, Iside si trasformò in uccello e percorse il Nilo in lungo e in largo, raccogliendo ogni frammento di Osiride. Nel collocare ciascun frammento l’uno accanto all’altro, servendosi della cera per unirli, Iside si accorse che mancava il fallo di Osiride; per questo motivo, essa ne plasmò uno nuovo usando l’oro e la cera.
Successivamente, grazie ai suoi poteri magici, Iside fece rivivere Osiride per un breve lasso di tempo. Fu in questa occasione che inventò i riti di imbalsamazione per cui gli egizi sono ancora famosi e li eseguì sul corpo di Osiride, pronunciando delle formule magiche: il dio risorse vivo come lo è il grano dopo le inondazioni primaverili in Egitto. E la magia del loro amore le permettè di concepire un figlio suo. 
Quel bambino, il dio Horus con la testa di falco, divenne forte e possente – e la sua forza lo spinse a vendicarsi di Set per l’assassinio di Osiride. Ma Iside, madre di tutte le cose, non gli permettè di distruggerlo fino in fondo.
 Su Iside esiste un altro racconto. 
Decisa ad avere il potere su tutti gli altri dei, essa forgiò un serpente e lo mandò a mordere Rà, il maggiore degli dei. Ammalatosi e sempre più debole, Ra mandò a chiamare Iside perché applicasse i suoi poteri curativi alla ferita. Ma la Dea dichiarò di non avere il potere di liberarlo dal veleno se non sapeva il nome segreto del dio, il suo nome di potenza , la sua essenza. Ra esitò e tergiversò, ma diventava senpre più debole. Infine in preda alla disperazione fu obbligato a bisbigliare il nome a Iside. Lei lo guarì ma Rà aveva pagato il prezzo per darle un potere eterno su di lui. 
Il culto e la religione di Iside-Osiride fu molto lunga (migliaia di anni) e subì forti variazioni fra la forma antica, 3000 AC e la forma ellenistica con misteri e iniziazioni (500 AC, di cui abbiamo notizie da Plutarco).
Iside fu una delle divinità più famose di tutto il bacino del Mar Mediterraneo. Dall’epoca tolemaica la venerazione per la dea, simbolo di sposa e madre e protettrice dei naviganti, si diffuse nel mondo ellenistico, fino a Roma. Da qui il suo culto, diventato misterico per i legami della dea con il mondo ultraterreno e nonostante all’inizio fosse ostacolato, dilagò in tutto l’impero romano. 
Quando era nata in egitto, il nome della Dea era Au Set che significa regina eccellente o semplicemente spirito. Ma i greci colonizzatori alterarono la pronuncia fino a farne il nome familiare Iside, un nome che venne usato per generazioni allorchè il culto della Dea si diffuse dal delta del Nilo alle rive del Reno. Come Ishtar, anche Iside assume le identità di dee minori finchè fu riverita come la Dea universale della cui femminilità totale le altre dee rappresentavano solo dei singoli aspetti.
Essa divenne la signora dai diecimila nomi il cui vero nome era Iside. 
Poi crebbe diventando Iside panthea (tutte le dee). 
Durante il suo sviluppo nell’ impero romano il culto di Iside si contraddistinse per processioni e feste in onore della dea molto festose e ricche. Le sacerdotesse della dea vestivano solitamente in bianco e si adornavano di fiori; a Roma, probabilmente a frutto dell’ influenza del culto autoctono di Vesta, dedicavano talvolta la loro castita’ alla dea Iside. 
Nella forma più antica invece, Osiride era la Luna e Iside la natura, Urikkitu, la Verde. Ma in seguito essa divenne la luna – sorella, madre e sposa del dio della luna.
 Era la moglie dolente e tenera sorella, era colei che apportava la cultura e dava la salute. 
Era il trono e la quindicina di dee. Era una forma di Hathor oppure questa era una sua forma. Era anche Meri, la dea del mare e Sochit il campo di grano. Ma rimase eternamente per i suoi fervidi seguaci la venerata dea che era essa stessa tutte le cose e che aveva promesso: “vivrete nella grazia, vivrete gloriosi nella mia protezione e quando avrete compiuto tutto il tratto di via che vi è stato assegnato e scenderete nel mondo sotterraneo, anche lì vedrete me, così come mi vedete ora, splendente… e se vi mostrerete obbedienti alla mia divinità, saprete che io sola vi ho permesso di estendere la vostra vita al di là del tempo assegnatovi dal vostro destino”. 
Iside che vinse la morte per riportare il suo amato alla vita, può con altrettanta facilità abolire la morte per i suoi seguaci pieni di fede. Solo l’onnipotente iside era colei che poteva proclamare: io vincerò il fato.



 Attributi
Iside, La luna, è anche Madre Natura, che è sia buona che cattiva. Tollera tutte le cose, proprio come nel mito non permette a Hor di distruggere fino in fondo il Tifone-Set, in quanto crescita e decadenza sono le componenti inevitabili della natura. 
Iside viene mostrata mentre decreta che non potrebbe esserci armonia perpetua, se il bene fosse sempre nell’ascendente. Essa, al contrario, delibera che vi sia sempre un conflitto fra le potenze della crescita e quelle della distruzione.
Iside aveva due aspetti: Natura e Luna. Essa era la madre, la creatrice, la nutrice di tutto, ed era anche la distruttrice.
Il suo nome, Iside, significa antico ed era chiamata anche Maat, che significa Conoscenza o Sapienza. 
Iside è Maat, la Sapienza Antica. Ovvero la sapienza delle cose come esse sono e come sono state sempre, la capacità innata, intrinseca di seguire la natura delle cose sia nella loro natura presente sia nel loro inevitabile sviluppo nel rapporto reciproco. E’ la sapienza dell’istinto.
Iside era vergine e madre, spesso rappresentata col bimbo in braccio.
Iside, nel periodo del lutto, era vestita di nero, oppure era essa stessa nera. Come la vergine nera dei santuari europei, che le è così strettamente collegata, essa era una Dea della guarigione.
 Di Iside era detto: “dove tu guardi pietosa, l’uomo morto ritorna in vita, il malato è guarito”. 
Le statue nere di Iside possiedono anche un altro significato. Plutarco dice che “tra le statue quelle con le corna sono rappresentazioni della sua luna crescente, mentre quelle vestite di nero i modi occulti e nascosti in cui essa segue il Sole – Osiride – e brama di unirsi con lui. In conseguenza a ciò essi invocano la luna per le questioni amorose e Eudosso dice che Iside regna sull’amore.”

Il velo di Iside
Il velo colorato di Iside è simile al velo di Maya di cui parla la filosofia indiana. 
Esso rappresenta le molteplici forme della natura nelle quali è rivestito lo spirito. 
L’idea è che lo Spirito Creativo si rivestì in forme materiali di grande diversità e che l’intero universo che noi conosciamo fu fatto in questo modo, è cioè la manifestazione, sotto forma materiale, dello spirito del Creatore. 
Plutarco disse: Iside è il principio femminile della natura e quello che è in grado di ricevere tutto ciò che è creato; a causa di ciò è stata chiamata “Nutrice“ e “Omni-ricevente” da Platone…
Perciò la veste o velo di Iside è la forma continuamente mutevole della natura, la cui bellezza e tragedia vela ai nostri occhi lo spirito. Questo perpetuo gioco reciproco nel mondo manifesto, che comprende gli oggetti esterni, gli alberi, le colline, e il mare, come pure gli altri esseri umani ed anche noi stessi, i nostri corpi, le nostre reazioni emotive, l’intero dramma del mondo, ci sembra possedere una tale realtà assoluta che non pensiamo a metterla in dubbio. Tuttavia in alcuni momenti di particolare intuizione, indotti forse dal dolore o dalla sofferenza o da una grande gioia, possiamo improvvisamente renderci conto che ciò che costituisce l’ovvia forma del mondo, non è quella vera, quella reale.
E’ detto che l’essere vivente viene afferrato nella rete o velo di Iside, e ciò significa che alla nascita dello spirito, la scintilla divina che è in ognuno, fu incorporata o afferrata nella carne.

Iconografia
Iside è spesso simboleggiata da una vacca, in associazione con Hathor, ed è raffigurata con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole. Nell’iconografia è rappresentata spesso come un falco o come una donna con ali di uccello e simboleggia il vento. In forma alata è anche dipinta sui sarcofagi nell’atto di prendere l’anima tra le ali per condurla a nuova vita. Solitamente viene raffigurata con una donna vestita, con in testa il simbolo del trono, che tiene in mano un loto, simbolo della fertilità. Frequenti anche le rappresentazioni della dea mentre allatta il figlio Horo. Il suo simbolo è il tiet, chiamato anche nodo isiaco, che si trova utilizzato per assicurare le vesti egiziane. L’esatta origine del simbolo è sconosciuta, ma probabilmente rappresenta la resurrezione e la vita eterna.

Iside, la dea della vita, della bellezza, della natura in rigoglio, aveva sposato il giovane dio Osiride, al quale erano cari i boschi, le messi e tutte le manifestazioni della natura. Osiride era un dio pastorale e a lui si rivolgevano gli agricoltori e i pastori perché i loro raccolti fossero abbondanti e le greggi si moltiplicassero. Così benigno e cordiale era questo dio, che spesso andava tra gli uomini per infondere loro il suo stesso amore per la natura e insegnare l’arte di rendere fertili i campi e fecondare le greggi, né si limitò alla sola terra d’Egitto ma andò fra gli altri popoli, e da tutti ricevette gratitudine e onori. Disgraziatamente aveva un fratello malvagio e invidioso, Set, il quale durante una sua assenza, non fece altro che pensare come avrebbe potuto prendere il suo posto e ricevere dagli uomini gli stessi onori. E, quando Osiride tornò, Set si mise a insidiarlo con mille perfide astuzie pur di riuscire nel suo disegno.
Iside, che conoscevo il malanimo del cognato, lo teneva d’occhio e ne sventava le trame, finché Set ne ordì una così sottile da eludere la vigilanza della buona dea e aver più fortuna nel suo intento. Fece costruire un magnifico cofano che aveva le dimensioni esatte del corpo di Osiride, e, durante un banchetto, promise di regalare il prezioso stipo a quello fra i convitati che, sdraiatosi in esso, lo avrebbe riempito perfettamente. Molti ci si provarono ma il cofano risultava sempre o troppo grande, o troppo stretto; infine anche Osiride fece la prova, ma, quando già si rallegrava di aver vinto la gara, perché il suo corpo occupava esattamente tutto il vano, gli amici di Set irruppero nella sala, chiusero a tradimento il cofano, lo portarono sulle sponde del Nilo e lo gettarono nelle acque del fiume in piena.
Iside, che quella sera fatale non era presente al banchetto, dopo aver atteso per qualche tempo Osiride, comprese che lo sposo doveva essere rimasto vittima di un tradimento, e si mise in cerca del corpo di lui percorrendo infaticabilmente tutto l’Egitto; ma invano. Allora lasciò la terra egiziana e infine, a Biblos, sulle coste della Fenicia, ritrovò la salma che era stata trascinata là dalle correnti marine. Inginocchiata presso il misero corpo, la bella dea proruppe allora in lamenti:
– Torna nella tua casa – diceva (un antico inno egiziano) – o mio bello sposo che non hai nemici. Io sono la sposa che tu ami tanto, e tu non puoi abbandonarmi. Non ti vedo più, ma il mio cuore ardente palpita per te e i miei occhi ti desiderano; torna alla tua sposa che hai tanto amato, tu, il cui cuore ormai non ha più battito!
Invano: Iside dovette riportarsi a casa solo il cadavere a cui diede sepoltura nelle paludi del delta del Nilo. Ma Set non era tranquillo: temeva che il dolore di Iside commovesse Rie nell’alto dei cieli e che questi richiamasse in vita Osiride. Andò dunque alla sepoltura, ne trasse il corpo del fratello, lo tagliò in quattordici pezzi e li disseminò per tutto l’Egitto. Quando Iside lo seppe, riprese con pazienza le sue peregrinazioni finché non fu riuscita a rintracciare tutte le membra del marito e a ricomporle. Poi, agitando le sue ali, volse sulla salma un vento vitale, ed ecco che il dio riprese a respirare e a muoversi.
Tornato in vita, Osiride denunciò il tradimento di Set al tribunale degli dei; ma poiché neppure un dio, come sappiamo, può continuare a vivere sulla terra quando ha conosciuto la morte, Osiride divenne il signore del mondo sotterraneo dove abitavano i defunti, lasciando al suo ultimo figlio, il piccolo Oro, il compito di vendicarlo. Il piccolo Oro fu allevato segretamente nelle paludi del delta, dove la madre lo aveva fatto rifugiare temendo le insidie di Set; e, quando fu in età da poter affrontare la lotta, si presentò arditamente a Set sfidandolo a battaglia il malvagio zio.
Feroce fu la loro zuffa, ed entrambi rimasero gravemente feriti; ma infine Oro risultò vincitore e il saggio dio Toth  ridiede la vita a uno dei suoi occhi rimasto accecato nel combattimento. Allora condusse Oro davanti il concilio degli dei che lo accolsero con grande festa:
– Salute a te, trionfante figlio ed erede di Osiride, che tu sia il benvenuto.
Set, tuttavia, cercò di portare contro di lui false accuse e ne seguì un processo, dinanzi alla corte degli dei, che durò ottant’anni perché Rie parteggiava un poco per Set. Finalmente Iside, venuta segretamente nell’isola in cui si teneva il processo, assunse le sembianze di una bella mortale e si presentò a Set dicendo:
– Eccelso signore, io sono la moglie di un bovaro; mio marito è morto e il mio unico figlio sorveglia il bestiame di suo padre. Ma ecco che è arrivato uno straniero il quale si è impadronito delle nostre stalle e ha detto a mio figlio: “Io ti batterò e prenderò le mandrie di tuo padre”. Ha detto così ed io ti prego di prendere le mie difese.
– Come? – disse Set. – Si darà dunque il bestiame allo straniero mentre è ancora in vita il figlio del padrone?
A queste parole Iside si rivelò gridando:
– Set, Set, tu hai pronunciato la tua condanna!
E infatti tutti gli dei riconobbero che Set, così dicendo, aveva dato lui stesso la sentenza contro di sé. Oro fu riconosciuto sovrano del mondo terreno così come il padre suo reggeva il mondo sotterraneo, e da allora i re egiziani si proclamarono successori di Oro.
Anche questo mito, narra di un dio del rigoglio della natura che diviene sposo della dea della bellezza e della vita e che, dopo essere perito di morte violenta, viene risuscitato dall’affetto della sposa, rimanendo però in qualche modo legato al regno dei morti. Osiride ne diventa il reggitore. Osiride è l’estate che ogni anno lotta con l’inverno, rappresentato da Set, per dominare sulla terra, personificata da Iside. Morendo, l’estate lascia ogni volta un figlio, Oro, che assicura il ritorno della primavera nel nuovo anno.

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